Marzo 07 2025 0Comment

Cassazione Penale, Sez. 3, 19 febbraio 2025, n. 6775 – Infortunio mortale dell’addetto al reparto “anime” della fonderia. Pur se imprudente, il comportamento del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro

In termini semplici, questa sentenza riguarda un caso di omicidio colposo sul lavoro. Ecco i punti chiave:

  • Il caso:
    • Due dirigenti di un’azienda (A.A. e B.B.) sono stati ritenuti responsabili della morte di un operaio (C.C.) avvenuta a causa di un incidente sul lavoro.
    • L’operaio è rimasto schiacciato da un macchinario all’interno della fonderia dove lavorava.
  • Il percorso giudiziario:
    • Inizialmente, i dirigenti erano stati assolti.
    • La Corte di Cassazione ha annullato questa assoluzione, richiedendo un nuovo processo d’appello per approfondire alcuni aspetti chiave.
    • Nel nuovo processo, la Corte d’Appello di Torino ha dichiarato i dirigenti colpevoli di omicidio colposo.
    • I dirigenti hanno presentato un ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione.
  • La decisione della Cassazione:
    • La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dei dirigenti, confermando la loro condanna.
    • La Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente valutato le prove e ha applicato la legge, in particolare per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro e la responsabilità dei datori di lavoro.
    • la cassazione ha stabilito che anche un comportamento negligente del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro, se le dovute misure di sicurezza non sono state attuate.
  • Punti chiave della decisione:
    • La responsabilità dei datori di lavoro nella sicurezza sul lavoro.
    • L’importanza di valutare e prevenire i rischi, anche in caso di comportamenti imprudenti dei lavoratori.
    • Il ruolo della Corte di Cassazione nel garantire l’uniformità dell’interpretazione della legge.
  • Conseguenze:
    • I dirigenti sono stati condannati a pene detentive (con sospensione condizionale).
    • Sono stati condannati a pagare le spese processuali e a risarcire le spese legali della parte civile.

In sostanza, questa sentenza ribadisce l’importanza della sicurezza sul lavoro e la responsabilità dei datori di lavoro nel garantire la sicurezza dei propri dipendenti.


Cassazione Penale, Sez. 3, 19 febbraio 2025, n. 6775 – Infortunio mortale dell’addetto al reparto “anime” della fonderia. Pur se imprudente, il comportamento del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro

 

… Non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta da

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Relatore

Dott. BUCCA Lorenzo Antonio – Consigliere

Dott. GIORGIANNI Giovanni – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

A.A., nato a A il (Omissis)

B.B., nato ad A il (Omissis)

avverso la sentenza del 08/05/2024 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udita per la parte civile l’avv. Elena Poli, che ha concluso chiedendo che venga dichiarato inammissibile il ricorso ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese;

udito per gli imputati l’avv. Alberto Avidano, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.

Fatto

1. Con sentenza del 08/05/2024, la Corte di appello di Torino, pronunciando in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza n 42024/2022 della Corte di cassazione, in riforma della sentenza assolutoria resa in data 11/07/2018, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Asti, dichiarava A.A. e B.B. responsabili del reato di omicidio colposo loro ascritto (perché nelle rispettive qualità, il primo di amministratore delegato, direttore generale e datore di lavoro delegato della ditta O/CAVA MECCANICA s.p.a e il secondo di responsabile “FUONDRY della predetta ditta, munito di delega in materia di sicurezza sul lavoro, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché nella violazione delle norme per l’igiene sul lavoro e dell’art. 2087 c.c., cagionavano, in concorso separato di cause, la morte di C.C., operaio addetto al reparto “anime” della fonderia, rimasto schiacciato dalle colonne di acciaio e dalle traverse meccaniche del movimento verticale del complesso meccanismo del macchinario) e condannava A.A. alla pena di mesi nove di reclusione con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e B.B. alla pena di mesi sei di reclusione con concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale deducono erronea applicazione degli artt. 589 cod. pen. e 71, comma 1, D.Lgs. 81/2008 e vizio di motivazione.

Argomentano che con la sentenza di annullamento n. 42024/2022 la Corte di cassazione aveva giudicato insufficiente la motivazione resa a sostegno della condanna emessa precedentemente dalla Corte territoriale ed aveva indicato degli approfondimenti istruttori per l’integrazione delle lacune probatorie rilevate.

Dagli approfondimenti effettuati in sede di giudizio di rinvio nulla era emerso in favore della impostazione accusatoria; in particolare, con riferimento al divieto di accesso, era emerso che di fatto esso esisteva e, pur in assenza di una cartellonistica, era noto a tutti che l’ultima zona utilizzabile, a fini di pulizia della tramoggia, era la piattaforma di sbarco ed inoltre, che la stessa conformazione dei luoghi presentava ostacoli e impedimenti tali da ridurne la possibilità di accesso; con riferimento alla presenza di una scaletta sulla macchina, era stato confermato che essa serviva per raggiungere la piattaforma di sbarco per effettuare l’attività di pulizia ordinaria; con riferimento al meccanismo di blocco, era stato confermato che era possibile fare quello che era stato fatto già il 31.1.2018 e, cioè, il posizionamento di due cancelli che, se aperti, avrebbero bloccati) i movimenti della macchina, ma risultava anche evidente che essi, se esistenti al momento del fatto, non avrebbero, comunque, impedito la possibilità di aggirarli (attraversandoli, scavalcandoli o passando di lato) per accedere alla zona in cui si era verificato l’infortunio.

L’integrazione istruttoria, dunque, non aveva aggiunto nulla di nuovo al quadro probatorio esaminato dal primo giudice, tanto da doversi concludere che il lavoratore aveva posto in essere un comportamento vietato, che sapeva essere tale, e che nulla avrebbe consentito di prevede”, e prevenire quella sua incomprensibile decisione di andare a verificare, a macchina in moto ed attraverso un percorso tortuoso, la ragione di un non meglio accertato rischio.

Si rimarca che l’attuale sistema della normativa antinfortunistica è basato su un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, i quali, in base ai principi posti dall’art. 20 del D.Lgs. 81/2008 non devono infrangere le direttive impartite e “non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la salute propria o di altri lavoratori”.

Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

3. La difesa dei ricorrenti ha chiesto la trattazione orale dei ricorsi.

Diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. Va ricordato che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Invero, nel primo caso, il giudice di rinvio ha sempre l’obbligo di uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni, pur in presenza di una modifica dell’interpretazione delle norme che devono essere applicate da parte della giurisprudenza di legittimità.

Nel caso, invece, di annoiamento per vizio di motivazione – come nella specie- il giudice di rinvio conserva la libertà di decisione mediante autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato anche se è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato netta sentenza di annullamento.

In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Sez.4, 21 giugno 2005, Poggi, Rv 232019), il giudice dì rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata. Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di cassazione di sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali aspetti.

Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poiché egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali.

Ed invero, eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine della individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi come dati che si impongono per la decisione a lui demandata (Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, Rv. 263864; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251660; Sez. 5, n. 6004 del 11/11/1998, dep. 16/02/1999, Rv. 213072; Sez. 3, n. 9454 del 10/07/1995, Rv. 202879).

3. Nella specie, la Corte territoriale ha integrato la motivazione, procedendo ad ulteriore istruttoria (incarico suppletivo al perito) e colmando le lacune motivazionali evidenziate nella sentenza di annullamento di questa Corte, che aveva evidenziato il mancato approfondimento di tre aspetti di fatto potenzialmente decisivi: esistenza o meno, anche solo di fatto, nell’unità produttiva di un divieto di accesso alla zona pericolosa; introduzione di un nuovo e non valutato rischio derivante dalla apposizione postuma della scaletta esterna su un macchinario che ne era all’origine privo; possibilità tecnica di prevedere un meccanismo di blocco automatico, non previsto sin dall’origine, all’avvicinarsi di una persona alla zona di maggiore rischio del macchinario collocato nella fonderia.

I Giudici di appello hanno approfondito gli aspetti indicati e, in aderenza alle risultanze istruttorie e, in particolare del supplemento di perizia, hanno evidenziato quanto segue: il divieto di accesso alla zona pericolosa non era stato formalizzato in nessun modo, né per iscritto né con apposita cartellonistica; non era possibile accertare se la scaletta esterna (necessaria per accedere alla parte alta della macchina al fine di effettuare la pulizia quotidiana della tramoggia) fosse stata installata dal costruttore del macchinario o dall’acquirente; la zona dell’infortunio risultava accessibile, sia pure attraverso un percorso non privo di ostacoli e solo successivamente alla verificazione dell’infortunio erano stati collocati due cancelletti: uno che impediva l’accesso alla zona della tramoggia, la cui apertura determinava il blocco della macchina e l’altro che impediva di accedere al percorso che conduceva alla zona dell’incidente e che poteva essere aperto solo con la rimozione di una serie di bulloni.

La Corte territoriale, quindi, dato atto che nella sentenza di annullamento questa Corte aveva ritenuto che l’area interessata dall’infortunio fosse un luogo di lavoro e che il comportamento del lavoratore non era stato abnorme (la vittima si era attivata per individuare la fonte del rumore anomalo proveniente dalla macchina e ciò non permetteva di ritenere la esorbitanza dell’azione del lavoratore rispetto alle sue mansioni), ha escluso che la condotta del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità ai sensi del capoverso dell’art. 41 cod. pen. e ha ritenuto sussistente la responsabilità degli imputati (che nelle rispettive qualità rivestivano la posizione di garanzia del lavoratore deceduto sul colpo per le lesioni riportate dallo schiacciamento) per colpa specifica (violazione dell’art. 71, comma 1 D.Lgs. 81/2008).

In particolare, è stato osservato che nella parte superiore della macchina vi erano organi lavorativi in movimento che, alla data dell’infortunio, non erano completamente segregati e ad essi, sia pure con difficoltà, era possibile accedere, in mancanza di ripari che li rendessero del tutto inaccessibili e che impedissero il funzionamento della macchina qualora un addetto avesse acceduto alia parte superiore; è stato, quindi, rilevato che, pur considerato che il lavoratore aveva tenuto una condotta imprudente, gli imputati non avevano posto in essere tutte le cautele necessarie finalizzate alla disciplina ed al governo del rischio di comportamento imprudente e che, con alta probabilità logica il comportamento alternativo lecito omesso dagli imputati (installazione dei due cancelletti che avrebbero reso difficile l’accesso alla zona pericolosa e, comunque, bloccato il funzionamento della macchina) avrebbe impedito l’infortunio.

La motivazione ha colmato le lacune motivazionali evidenziate dalla Corte di Cassazione ed è congrua e logica nonché conforme al principio di diritto, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Rv. 259321-01; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Rv. 276242-01; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Rv. 281748-01; Sez. 4, n. 27871  del 20/03/2019, Rv. 276242-01); essa, quindi, si sottrae al sindacato di legittimità.

4. Consegue, pertanto, il rigetto dei ricorsi e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

5. I ricorrenti vanno, inoltre, condannati, in base al disposto dell’art. 541 cod. proc. pen. alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili che, avuto riguardo ai parametri di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014, come aggiornate sulla base del DM n. 147/2022, all’impegno profuso, all’oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover liquidare nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Federazione Impiegati e Operai Metallurgici FIOM-CGIL Provinciale di Asti che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma il 10 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2025.

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